Il Festival d’Eritrea che si è svolto a Milano lo scorso 27-28 giugno è stata l’occasione per intervistare Filippo Bovo, autore di Eritrea, Avanguardia di un’Africa nuova, storia, attualità e avvenire di una giovane nazione, libro appena pubblicato per le Edizioni Anteo.
Un libro dedicato all’Eritrea
perché, come spieghi nell’introduzione, di questo paese si parla troppo
poco. È vero ma oltre alla “quantità”, in che modo si dovrebbe parlare
di Eritrea?
È una bella domanda.
Se ne parla poco e male se guardiamo la panoramica, non solo dei media italiani ma anche occidentali. Uno dei motivi è che l’Eritrea rappresenta un brutto esempio per l’Africa. È un paese che vuole camminare con le proprie gambe e non si vuole che il resto dell’Africa segua quest’esempio.
Se ne parla poco e male se guardiamo la panoramica, non solo dei media italiani ma anche occidentali. Uno dei motivi è che l’Eritrea rappresenta un brutto esempio per l’Africa. È un paese che vuole camminare con le proprie gambe e non si vuole che il resto dell’Africa segua quest’esempio.
Si preferisce l’idea di un’Africa
assistita che dipenda dai nostri istituti finanziari, dai nostri
progetti infrastrutturali, un modo per far profitti alle loro spalle.
Probabilmente dà anche fastidio il ruolo che l’Eritrea ha tenuto nei
confronti della crisi somala, ha dato fastidio il fatto che sia riuscita
a resistere all’attacco etiopico del 1998-2000 e, in certo senso, a
dimostrare, nei limiti delle sue possibilità, nella modestia dei suoi
mezzi d’informazione, che quel conflitto non avveniva per colpa sua, ma
era un’aggressione.
Sono queste le cose che hanno dato fastidio, oltre al modello che incarna.
Questa convinzione trova forza nel fatto che si parla molto poco della guerra di liberazione dell’Eritrea. Una guerra esemplare, senza l’aiuto delle grandi potenze.
Gli eritrei hanno voluto fare quasi tutto da soli, un esempio più unico che raro, questo è il motivo per cui non se ne vuole parlare.
Questa convinzione trova forza nel fatto che si parla molto poco della guerra di liberazione dell’Eritrea. Una guerra esemplare, senza l’aiuto delle grandi potenze.
Gli eritrei hanno voluto fare quasi tutto da soli, un esempio più unico che raro, questo è il motivo per cui non se ne vuole parlare.
Le guerre in Eritrea sono guerre
dimenticate. Non hanno mai conquistato le prime pagine dei giornali,
pochi gli inviati per seguirle, pochissime le testimonianze. Come mai
questa scelta dell’Occidente, in particolar modo dell’Italia?
Il problema è proprio l’assenza
dell’Italia che, nei confronti dell’Eritrea, rappresenta la vecchia
potenza coloniale. Gli altri paesi occidentali, ex potenze coloniali,
hanno mantenuto un rapporto più vicino con quelle che erano le loro
colonie, penso alla Francia o al Portogallo che si è riavvicinato
all’Angola e al Mozambico, l’Italia invece si è comportata come se
l’Eritrea non avesse mai avuto a che fare con lei.
Se ci fosse stato un ruolo della
politica internazionale italiana più visibile, non solo per la guerra
Etiopia-Eritrea, o ancor prima, durante la guerriglia di liberazione
eritrea negli anni ‘60, ‘70 e ‘80, se ci fosse stata una presenza
italiana nella crisi somala, probabilmente questi conflitti non
sarebbero stati dimenticati.
L’Occidente invece è intervenuto, pensiamo all’intervento in Somalia che l’Eritrea non ha visto di buon occhio e se ne sono visti i risultati.
L’Occidente invece è intervenuto, pensiamo all’intervento in Somalia che l’Eritrea non ha visto di buon occhio e se ne sono visti i risultati.
Negli anni ‘70 l’Etiopia di
Menghistu, abbandonata dall’America, si avvicina all’URSS. Anche
l’Italia appoggia l’Etiopia, una scelta che ha lasciato un segno?
Sì. C’è un riflesso dei vecchi schemi
politici e delle vecchie analisi che non sono state aggiornate perché,
nel frattempo, non c’è stato interesse per capire il cambiamento.
Nel caso dell’Etiopia la funzione filo Menghistu del PCI ha preferito lasciare gli eritrei al proprio destino
Nel caso dell’Etiopia la funzione filo Menghistu del PCI ha preferito lasciare gli eritrei al proprio destino
Ci sono le dichiarazioni di Giancarlo Pajetta…
Vero. In seguito l’Etiopia è stata molto
coccolata a livello internazionale, molto ambita, filoamericana.
L’Eritrea invece è stata messa in disparte.
Ha suscitato curiosità la sua indipendenza, poi però questa curiosità è svanita e nel giro di pochi mesi non se n’è parlato più.
Ha suscitato curiosità la sua indipendenza, poi però questa curiosità è svanita e nel giro di pochi mesi non se n’è parlato più.
Forse l’Occidente si aspettava
una democrazia liberale a propria immagine e somiglianza, rimanendo
delusa, nonostante la pacifica convivenza di nove etnie, diverse
religioni e l’assenza di terrorismo…
L’Eritrea ha sconfitto il terrorismo. La
prima apparizione di Al Qaida quando l’Eritrea è diventata indipendente
è stata subito bloccata. L’Eritrea ha denunciato il pericolo, per
questo potrebbe dare consigli utili in materia di anti terrorismo. É il
caso più unico che raro di un paese che ha identificato il terrorismo
subito, sul nascere.
Invece è stata accusata di aiutare Al Shabaab…
Si è detto che l’Eritrea, in Somalia,
stesse giocando sporco in funzione antietiopica, però non è venuto fuori
nulla, anzi sono venuti fuori tanti documenti che si commentano da
soli, smentiti dalle fonti eritree, rimasti soloin ambito ONU,
ottenendo però ascolto presso il giornalismo occidentale. Il comune
cittadino non conosce queste cose, non se ne interessa, sia perché non
si parla mai di Eritrea sia perché non le ritiene cose credibili.
Secondo te come mai i media italiani sono schierati contro l’Eritrea?
Sì, stampa e televisione non usano mezze parole per condannare l’Eritrea.
Soprattutto c’è la strumentalizzazione della “questione immigrazione” e del ruolo del paese. All’Eritrea si danno colpe che non ha, definendola “lager a cielo aperto” dal quale tutti vogliono fuggire, un posto dove vige una dittatura feroce.
Soprattutto c’è la strumentalizzazione della “questione immigrazione” e del ruolo del paese. All’Eritrea si danno colpe che non ha, definendola “lager a cielo aperto” dal quale tutti vogliono fuggire, un posto dove vige una dittatura feroce.
Questa chiave di lettura per una persone
che non sa niente d’Eritrea può apparire credibile, non avendo dati per
contrastarla, quindi in tv può passare questo messaggio sbagliato. La
verità l’abbiamo sotto gli occhi, la vediamo nelle occasioni delle
feste, studiando la storia eritrea. Questo è il punto.
Cosa si aspetta l’Eritrea dall’Italia e cosa pensa l’Italia dell’Eritrea?
L’Eritrea si aspetta dall’Italia maggior
considerazione e comprensione, non in termini di aiuti economici, vuole
invece che l’Italia onori vecchi rapporti e vecchi legami, non sempre
positivi ma nati con la storia comune. L’Eritrea si aspetta che
l’Italia abbia un ruolo di pacificazione nel Corno d’Africa, spendendo
due parole presso gli alleati per far capire cosa accade in un paese che
non è brutto, sporco e cattivo, come si dice in giro. Basterebbe
questo, un’iniziativa a costo zero.
L’Italia da parte sua ha dell’Eritrea
una percezione ondivaga. Ci sono politici che hanno capito che
l’Eritrea non è come la si dipinge, però sono soprattutto gli
imprenditori a essere più attenti nei confronti dell’Eritrea.
Loro sono quelli che potrebbero
cambiarne il destino, innestando un circuito economico tra Italia ed
Eritrea, in alcuni casi già iniziato. Noi però dobbiamo capire che
l’Eritrea può darci lezioni di vario genere, sul senso della famiglia,
per esempio.
Noi abbandoniamo gli anziani con la
badante o in casa di riposo e i bambini davanti ai videogiochi. In
Eritrea questo sarebbe impensabile perché l’anziano è il custode della
memoria e il bambino ne rappresenta il futuro.
Un’altra cosa che l’Eritrea ci può insegnare è il rispetto delle risorse idriche.
Siamo un paese che ha un acquedotto che per metà perde acqua per strada, un paese che ha abbandonato l’agricoltura.
Un tempo eravamo autosufficienti, ora non lo siamo più, importiamo il grano di cui abbiamo bisogno.
L’Eritrea sta facendo il percorso inverso, insegnandoci che è importante camminare con le proprie gambe. È un paese che può insegnare il rispetto per la storia.
Siamo un paese che ha un acquedotto che per metà perde acqua per strada, un paese che ha abbandonato l’agricoltura.
Un tempo eravamo autosufficienti, ora non lo siamo più, importiamo il grano di cui abbiamo bisogno.
L’Eritrea sta facendo il percorso inverso, insegnandoci che è importante camminare con le proprie gambe. È un paese che può insegnare il rispetto per la storia.
Le loro vecchie ferrovie hanno ripreso a funzionare, mentre noi con le nostre ferrovie, tolte le frecce, siamo messi malissimo.
Anche la donna in Eritrea è molto importante.
In Italia non dico non lo sia, però anche donne affermate non hanno solidarietà, al contrario, sono viste con invidia e spirito di competizione.
Questo in Eritrea non avviene perché c’è una società molto unita e la donna è vista con rispetto.
In Italia non dico non lo sia, però anche donne affermate non hanno solidarietà, al contrario, sono viste con invidia e spirito di competizione.
Questo in Eritrea non avviene perché c’è una società molto unita e la donna è vista con rispetto.
Prima accennavi
all’atteggiamento degli imprenditori, però quando un giornale
finanziario attacca violentemente il paese non interrompe, con un
titolo, i molti progressi fatti?
La mia sensazione è che si voglia scongiurare un cambiamento di idee.
Mettendosi sempre dalla parte del paese grande, l’Etiopia, contro il paese piccolo, l’Eritrea?
L’Eritrea è un esempio di caparbietà, un paese che, con le proprie risorse, ha fatto molto.
È grazie alla caparbietà che ha raggiunto molti degli gli Obiettivi del Millennio?
Sì. Li sta raggiungendo nel silenzio di tutti. Ormai neppure questi successi fanno notizia. Dovremmo riflettere su questo.
In appendice, tra gli altri
rapporti citati, c’è l’ultimo della Commissione sui Diritti Umani, un
rapporto scritto senza aver visitato il paese, come mai secondo te?
Questo è il bello. I vari Gruppi di
Monitoraggio sulla Somalia, sull’Eritrea, (SEMG) commissioni o contro
commissioni, in Eritrea o non ci vanno o fanno viaggi banali,
comportandosi poi con grande ipocrisia, come i fatti che stiamo vedendo
confermano.
Però c’è una motivazione; si attacca
l’Eritrea sui diritti umani perché questo è un buon modo per scongiurare
un suo avvicinamento all’Occidente, all’Europa. Diventa difficile per
un politico, anche coraggioso, che voglia avvicinare il proprio paese o
partito all’Eritrea, spiegare che le cose non sono vere quando tutti gli
altri lo affermano.
Se lo fa viene lapidato.
Quindi questa campagna sui diritti umani, che non è diversa dalle campagne fatte contro altri paesi ha più o meno la stessa logica, ha il suo perché. E ha un peso anche sugli imprenditori come dicevamo prima.
Se lo fa viene lapidato.
Quindi questa campagna sui diritti umani, che non è diversa dalle campagne fatte contro altri paesi ha più o meno la stessa logica, ha il suo perché. E ha un peso anche sugli imprenditori come dicevamo prima.
Questo è il motivo per cui la
stampa non ha riportato la notizia dei moltissimi eritrei che sono
andati a Ginevra per manifestare contro il rapporto sui diritti umani?
Infatti è clamoroso. I telegiornali, che parlano anche di gossip, non hanno detto una parola sulla manifestazione di Ginevra.
Potremmo chiederci se chi
manifesta in piazza contro l’accusa di violare i diritti umani e chi
annega nel Mediterraneo per cercare un lavoro in Europa siano figli
dello stesso paese?
Questa considerazione mi ricorda il
discorso della Siria. I siriani che vengono in Italia, sono sempre
siriani? Il problema è che siccome si è delegittimato il governo
dell’Eritrea, come anche quello della Siria per rimanere nel paragone,
allora chi vuole venire in Occidente per chiedere asilo politico è
meglio dica che è siriano anziché libanese perché in questo modo non
sarà rimandato indietro. Questo vale anche per un sudanese e un somalo o
un etiopico. A loro conviene dire di essere eritrei per ricevere asilo.
Questo non vuol dire che non ci siano anche eritrei.
Questo non vuol dire che non ci siano anche eritrei.
Per un migrante economico che
arriva dal sud del mondo, sperando di ricevere asilo, la via è
dichiararsi rifugiato politico, soprattutto se arriva da un paese dove
non c’è guerra, calamità naturali e dove, formalmente, c’è una
democrazia con elezioni…
Sì questo è un ”trucco” noto.
E l’Europa s’interroga: fermarli prima o farli arrivare?
Certo. Mettiamoci dentro anche le
ambasciate occidentali che non danni i visti e le illusioni che
l’Occidente crea. Che la gente abbandoni il paese è anche una strategia
perché il paese perda risorse umane. Vedo molti ragazzi africani,
senegalesi, persone che spesso hanno studiato, che se potessero vivere
nel loro paese farebbero molte cose, che vengono qui per raccogliere
pomodori o vendere accendini, una cosa umiliante.
Tutto il loro potenziale è sprecato, non
è valorizzato. L’Occidente così si fa una riserva di manovali a
bassissimo costo, per abbassare il costo dei lavoratori locali.
S’innesca una lotta tra poveri. Un modo per fermare lo sviluppo di un
paese è anche quello di privarlo di risorse.
Un accenno di biografia: come mai l’interesse per politica e cultura extraeuropea, in particolare modo quella africana?
Una bella domanda. Ho sempre avuto
curiosità di questo tipo che ho portato avanti. Ho fatto vari lavori,
poi sono tornato a questo, che è quello che so fare.
Potendo, fare la cosa che si sa fare e che piace è la miglior scelta, consigliabile…
Per l’Eritrea l’interesse è nato per le
notizie che sentivo e che non mi convincevano, poi avvicinandomi alla
realtà del paese ho scoperto cose di cui non si parlava.
Tutto grazie a un signore che ho incontrato nella sede di un piccolo partito quando ancora facevo politica. Questo signore eritreo, che era stato aiutato come molti altri dal vecchio SDI, mi raccontò del suo paese. Quella è stata la molla che mi ha portato all’interesse e al libro.
Tutto grazie a un signore che ho incontrato nella sede di un piccolo partito quando ancora facevo politica. Questo signore eritreo, che era stato aiutato come molti altri dal vecchio SDI, mi raccontò del suo paese. Quella è stata la molla che mi ha portato all’interesse e al libro.
Ultima domanda: viaggi in Africa?
Mi piacerebbe tanto, è una cosa che ancora manca.
Bene, allora bisognerà cominciare dall’Eritrea…
Marilena Dolce
http://www.opinione-pubblica.com/2015/07/03/eritrea-avanguardia-di-unafrica-nuova-intervista-a-filippo-bovo/
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