domenica 27 novembre 2016

Smarchiamoci dai "dirittoumanisti". Intervento al 23esimo Congresso del Partito Comunista della Svizzera Italiana.


Care compagne e cari compagni,
è con grande emozione che mi trovo oggi a questo nostro 23esimo congresso.
Sono passati quasi dieci anni da quando a Locarno fui uno di quei giovanissimi a votare per il cambio del nome da Partito del Lavoro a Partito Comunista.
Avevamo deciso di cambiare nome per cambiare politica, per tornare ad essere scientifici, coerenti, indipendenti ed incisivi, per sviluppare le nostre idee e i nostri programmi in maniera autonoma e democratica, per tornare ad essere comunisti.
È per questo motivo che saluto con gioia i documenti elaborati dalla direzione, in particolare la risoluzione inerente il tema dei flussi migratori, che getta le basi affinché i comunisti abbiano una posizione chiara e intelligente sulla questione, senza che si scada in una sterile carità di stampo cristiano, ma al contempo senza che vengano abbandonati i principi comunisti della lotta al razzismo, dell'internazionalismo e dell'unità di classe.
Non abbiamo fatto l'errore di cadere nella trappola della borghesia, che si serve organicamente di una certa sinistra ormai allo sbando per giustificare le aggressioni imperialiste e la destabilizzazione di paesi sovrani.
Per assurdo, chi a sinistra si dice paladino dei migranti, è spesso al contempo parte di quell'apparato "dirittoumanista" che prepara il terreno alle guerre, alle sanzioni e alle rivoluzioni colorate, cause principali, assieme allo sfruttamento neocoloniale, dei flussi migratori stessi.
I paladini di Amnesty sono i primi a demonizzare molti dei paesi la cui unica colpa è quella di volere rimanere indipendenti rispetto all'imperialismo.
Possiamo quindi dire senza riserve, che costoro formano parte dell'avanguardia di una velata propaganda di guerra.
Abbiamo visto membri della sinistra sventolare bandiere dei ribelli siriani, applaudire il colpo di stato atlantico e nazifascista in Ucraina, invocare la morte di Gheddafi, e tanto altro, tra cui la martellante campagna di demonizzazione nei confronti dell'Eritrea, paese che non vuole sottostare ai diktat occidentali. Eritrea, paese certamente povero e non esente da contraddizioni, che dopo una Rivoluzione anticoloniale e progressista ha raggiunto, con le proprie forze, molti importanti traguardi nella lotta all'analfabetismo, nella sanità, nell'occupazione,... una piccola, concedetemi l'analogia forse un po' azzardata, "Cuba del Corno d'Africa", visto il Chaos, la violenza, le malattie e la fame che la circondano. Chaos utile al dominio occidentale sul continente.
È nostro dovere, in quanto comunisti ed internazionalisti, smarcarci e combattere questo atteggiamento eurocentrico, altezzoso, paternalista, e, in fin dei conti, razzista, di questa sinistra, se così la si può definire, che preferisce ostentare sul web la propria carità al riconoscere reali problematiche e cercare soluzioni.
Una sinistra che nega i problemi e che insulta con disprezzo chi tra il popolo non è soddifsatto dalle sue politiche.




La Svizzera non deve allinearsi agli Stati Uniti e ad alcuni faziosi rapporti dell'ONU senguendo questa tendenza "dirittoumanista", che di dirittoumanista in realtà ha ben poco. La Svizzera deve collaborare allo sviluppo e alla pace in una prospettiva di mondo multipolare e di relazioni armoniose tra le nazioni, mettendo realmente in pratica la tanto vantata neutralità, e stabilendo contatti proprio con realtà interessanti in via di sviluppo come l'Eritrea, piuttosto che con paesi guerrafondai e razzisti come Israele o come l'Arabia Saudita.
La destra sembra che si stia accorgendo delle opportunità che danno varie realtà finora snobbate, mentre la sinistra, anti-ideologica a parole, ed in effetti priva di analisi, ma incrostata dogmaticamente sulle posizioni della cosiddetta ideologia "liberal", continua a brancolare nel buio o addirittura collabora con le peggiori lobbies destabilizzatrici e guerrafondaie.

Sappiamo di stare dalla parte giusta della storia, cerchiamo di influire!

Amedeo Sartorio 27.11.2016


martedì 12 aprile 2016

Usare la bandiera dell'antifascismo per servire gli interessi dell'imperialismo. Un esempio di propaganda mascherata diretta contro i comunisti e l'Iran.


Qualche tempo fa mi sono imbattuto in un libro di Walter Laqueur, autore a me allora sconosciuto, intitolato: "Fascismi/Passato, presente, futuro", incuriosito, l'ho comprato ed ho cominciato a leggerlo.
Il fascismo al potere, come lo ha giustamente definito la XIII sessione plenaria del Comitato Esecutivo dell'Internazionale Comunista, è "la dittatura terroristica aperta degli elementi più reazionari, più sciovinisti e più imperialisti del capitale finanziario".
Se si tiene buona questa definizione generale di fascismo, sebbene risalga all'epoca hitleriana, bisogna constatare che alcuni "fascismi" esistono ancora; emblematico è il caso di Israele, che con la sua politica imperialista, militarista, totalitaria e razzista, rientra in questa categoria.
Già molto critico sui capitoli storici del libro, sono rimasto inorridito dal contenuto di quelli che parlano di "fascismi contemporanei". Laquaeur, quando parla di fascismi moderni, accusa di fascismo l'Iran della Rivoluzione Islamica, accusa di antisemitismo i partigiani della causa palestinese e la sinistra comunista, presenta come un problema "fascista" l'estremismo islamico, che riconduce però al clero sciita a guida iraniana, dimenticandosi del wahabismo e delle dittature sunnite,...

Vi propongo alcuni brevi estratti, e metto in guardia i lettori a non prendere per buono tutto ciò che si autoproclama "antifascista", a partire dall'ipocrita partecipazione dell'attuale "centrosinitra" italiano alla Festa della Liberazione.
È svuotando del suo contenuto l'antifascismo, gettando accuse di fascismo a chiunque non la pensi come te, che le politiche realmente fascisteggianti prendono forza e si legittimano.


"Pur scatenando azioni e propagnada antisemite, i comunisti lo facevano in un certo modo rituale, cioè sotto le sembianze dell"antisionismo"."

"Anche se la vittoria khomeinista in Iran ha incentivato lo slancio fondamentalista in numerosi paesi islamici, il radicalismo sciita professa una dottrina e una pratica diversa da quella sunnita(...) I governanti sciiti sono ritenuti settari dai fondamentalisti sunniti, che non riconoscono affato l'Iran come modello. Esiste perciò un'inconfondibile affinità tra fascismo e islam radicale."

"Nella Germania del 32-33 si reclutavano gli effettivi dei reparti d'assalto trai plebei e il sottoproletariato: i delinquenti di Teheran che formavano e formano la spina dorsale del movimento dei mullah sono motivati dalla medesima mentalità."

"A differenza delle dittature di vecchio stampo (e delle tirannie asiatiche), l'islam radicale (Iran) pretende obbedienza assoluta. Esso non controlla solamente le attività politiche dei cittadini ma tutte le loro attività, incluse quelle del tempo libero. La sfera privata è ridotta ai minimi termini: per molti aspetti, il suo totalitarismo supera perfino quello a cui aspiravano i fascismi europei."










"Se ai tempi dello Scià l'Iran si stava sviluppando decentemente, come mai una dittatura teocratica è riuscita a scalzarlo?"

"L'Iran ha assunto il ruolo guida nelle attività terroristiche in diverse parti del mondo, organizzando campi di addestramento, fornendo armi e aiuto logistico ai gruppi di terrore in Libano, Egitto e altre regioni africane e mediorientali."

"Infine, i fondamentalisti si preoccupano per il grande Satana occidentale (come faceva l'URSS), ignorando che nel frattempo sono emersi altri centri di potere mondiale."

"(...)in Russia non esistono divisioni nette tra la destra conservatrice "rispettabile", e gli estremisti, e tra l'estrema destra e i neocomunisti. Dopo l'iniziale slancio democratico degli anni 89-90, la politica russa ha virato decisamente a destra. La crescente polarizzazione trovò la sua espressione più clamorosa nel tentativo di golpe ai danni di Gorbacev nel 1991."



Amedeo Sartorio, 12 aprile 2016

giovedì 25 febbraio 2016

Eritrea: violazione dei diritti umani o propaganda di guerra?


Ci siamo sentiti ripetere fino alla nausea che l'Eritrea è una "prigione a cielo aperto", che è la "più terribile dittatura d'Africa", se non del mondo, e chi più ne ha più ne metta.
Questa propaganda di guerra diretta contro uno staterello la cui sola colpa è quella di volersi sviluppare in modo autonomo evitando lo strozzinaggio occidentale, viene portata avanti con particolare fervore da quella sinistra moderna sempre più liberale, più caritatevole -nell'accezione negativa, eurocentrica, del termine-, e sempre più attaccata al mantra dei diritti umani.
I "dirittoumanisti", quasi sempre in buona fede, ma privi di un metodo di analisi della realtà che sia definibile tale, si muovono come marionette alle dipendenze dei piani bellici e destabilizzatori della Casa Bianca o del Pentagono, rivelandosi essere la bassa manovalanza che prepara il terreno agli interventi militari imperialisti. Infatti, stranamente, nel mirino delle accuse si trovano quasi esclusivamente "paesi canaglia", canaglia da una prospettiva USA, naturalmente.
Gli esempi sono molteplici: il sostegno al colpo di Stato nazista in Ucraina, quello all'intervento militare in Libia, il sostegno alla "rivoluzione" siriana fin da subito guidata da movimenti jihadisti, la demonizzazione dell'Eritrea, il sostegno alla "causa tibetana",...
Tutte queste posizioni filoatlantiche e neocolonialiste, all'antitesi di qualcosa che sia anche solo vagamente di sinistra, sono giustificate da slogan come: "Yanukovic uccide la popolazione pacifica", "Gheddafi bombarda il suo popolo", "Assad è un terriibile dittatore assassino", "L'Eritrea è la peggiore dittatura del mondo", "La Cina occupa e opprime il Tibet".
Niente di ciò è vero, ma l'apparato mediatico legato ai centri di potere, così come le ONG* più grandi, pure loro legate a doppio filo agli interessi USA, riescono a far passare questi concetti grazie a una martellante propaganda sempre più basata sulle emozioni delle persone.
Ogni guerra è nata con delle menzogne, perché senza il sostegno, o addirittura con l'opposizione della popolazione, non è così facile entrare in guerra.
Oggi quelle menzogne si basano quasi sempre sul "salvare civili uccisi impunemente da un terribile regime", ed ecco che la poca conoscienza delle dinamiche economiche, geopolitiche e sociali, fa cascare nella trappola molta gente indignata da ciò che sente nelle notizie.

Ora torniamo però al titolo, e cioè all'Eritrea.
Sul mio blog ho già pubblicato alcuni articoli e interviste che chiariscono la realtà del paese, ma è notizia di poche settimane fa quella di un gruppo di parlamentari svizzeri che, di ritorno dall'Eritrea, hanno smentito le voci secondo cui il paese sarebbe la terribile dittatura che si vuol far credere.
Mi limito a trascrivere alcune dichiarazioni di politici svizzeri, insospettabili di simpatie bolsceviche, -ricordo che l'Eritrea è nata da una lungua guerra di liberazione nazionale portata avanti da guerriglie marxiste- ricordando che, e si ritorna al discorso di prima, l'unico esponente ad aver boicottato il viaggio è membro del Partito Socialista, che si chiede addirittura se il console onorario svizzero in loco non sia "stato pagato dal regime eritreo".



"La prima impressione non è veramente quella di una prigione a cielo aperto. Ho viaggiato talmente tanto che posso permettermi di comparare."

"Nelle alte sfere, e la cosa stupisce molto, non c'è corruzione."


"C'è un limite di 1 a 8 trai salari più alti e quelli più bassi dell'amministrazione governativa. Vi è questa idea totalitaria, ma anche egualitaria, un maggio '68 totalmente anacronistico nel mondo odierno. Ma queste persone, visto che sono oneste, sono convinte di avere ragione e sono sorpresi dalle critiche della comunità internazionale."

"Degli osservatori indipendenti che ho incontrato lo dicono restando nell'anonimato: il rapporto delle Nazioni Unite è tendenzioso."

"Ci sono state delle esagerazioni da parte delle ONG."

"La mia convinzione è che gli eritrei siano soprattutto migranti economici."

"La principale ragione per cui dei giovani partono è la mancanza di prospettive. Questi giovani guardano la tele, hanno internet, e hanno voglia di qualcosa di diverso dalla rivoluzione del nonno".

Claud Beglé (PPD)

fonte: http://www.24heures.ch/suisse/ong-exagere-erythree/story/29062656

 
"(Thomas Aeschi, UDC, n.d.r.) Come i suoi colleghi di viaggio, ritiene che l'Eritrea non è "l'inferno" dipinto dai vari rapporti internazionali, anche dell'Onu, e dai media."

"Come già dichiarato da Hochuli alla stampa domenicale, Aeschi, attualmente in India, in due interviste telefoniche all'ats e a Le Temps, sostiene in sostanza che la situazione nel Paese non fa pensare a uno Stato totalitario. Afferma di aver potuto discutere liberamente con la popolazione, reticente solo nel rispondere a domande relative a parenti in carcere."

"Per il consigliere nazionale (Aeschi, n.d.r.) un accordo di riammissione è realistico. Altrimenti non si spiega come migliaia di eritrei costretti da Israele in campi nel deserto preferiscano tornare nel loro Paese. La tortura non è sicuramente sistematica."

fonte: http://www.tio.ch/News/Svizzera/Politica/1070121/Aeschi-L-Eritrea-non-e-quell-inferno-che-tutti-raccontano


"Secondo la consigliera di Stato argoviese Susanne Hochuli (Verdi), le voci che corrono su questo paese africano costituiscono "una panzana occidentale". "L'Eritrea non è la Corea del Nord", ha sottolineato l'ecologista alla "SonntagsZeitung" dopo un sopralluogo nella regione."

fonte: http://www.tio.ch/News/Svizzera/Politica/1069573/Polemiche-attorno-a-un-viaggio-di-politici-svizzeri-in-Eritrea/


Questo è un passo avanti verso la normalizzazione da parte svizzera delle relazioni con Asmara, ma come sempre, la sinistra si è fatta sorpassare da altri, preferendo demonizzare un paese indipendente e progressista piuttosto che cercare il dialogo. (Forse qualcuno mangia sui migranti eritrei?)

Stiamo all'erta e non lasciamoci ingannare dalla propaganda di odio.
L'Eritrea potrebbe essere una delle prossime vittime dell'imperialismo, grazie anche al consenso di quei "dirittoumanisti" che parlano di pace ma favoriscono la guerra.

Amedeo Sartorio, febbraio 2016.




*Sulla natura faziosa di molte ONG rimando ad alcuni articoli emblematici pubblicati da sinistra.ch.

http://www.sinistra.ch/?p=2058 
http://www.sinistra.ch/?p=1627
http://www.sinistra.ch/?p=1991

martedì 2 febbraio 2016

Critica e autocritica: didattica socialista in una scuola cinese per giovani delinquenti. (1979)

Vi propongo alcuni aneddoti, molto significativi, riguardanti un centro di educazione sorvegliata (scuola per giovani delinquenti trai 13 e i 18 anni) situata nella Repubblica Popolare Cinese, risalenti alla fine degli anni ’70.
Ho tradotto dal francese dei brevi passaggi di un lungo dossier scritto da Zhou Zheng e apparso il 5 novembre 1979 sul numero 44 del settimanale Beijing Information.



“Gli è successo (ai docenti N.d.T.) di colpire i ragazzi, perché il comportamento di questi li esasperava. La scuola, però, non tollera assolutamente comportamenti di questo tipo. A fine giugno, un responsabile della scuola, alzò le mani su un allievo. Il direttore convocò una riunione di docenti durante la quale lo criticò. Dopo, dovette tenere un meeting con tutti i suoi allievi dove fece autocritica, dicendo che quell’atteggiamento era una conseguenza del suo metodo di lavoro sbagliato. Dopo la riunione gli allievi discussero della questione: “I pugni sono efficaci affinché i ragazzi correggano i loro errori?” Durante le discussioni animate, gli allievi raccontarono di come fossero stati picchiati dai genitori e dalle milizie nelle strade. Ciononostante, non avevano mai cambiato il loro atteggiamento, senza mai cedere ai colpi. Se si fanno dei progressi, questo è dovuto all’educazione e alla persuasione paziente dei maestri. Dopo la discussione, il docente violento fece pure un’autocritica davanti all’intera scuola riunita, così permettendo a tutti di avere una profonda conoscenza sulla questione.”

“L’ultimo semestre dello scorso anno scolastico, successe qualcosa nella scuola. Un nuovo allievo aveva fatto molti progressi. Più tardi venne eletto capoclasse. Un giorno, però, avendo suonato male la chitarra, venne preso in giro da un compagno, si arrabbiò, e lo buttò a terra. Poco dopo, riconobbe il suo errore davanti al maestro, che, invece di rimproverarlo, gli disse in modo incoraggiante: “Hai fatto dei progressi, dato che non l’hai anche picchiato”. Molto commosso, il ragazzo si mise a piangere. Si rese conto che il suo maestro lo conosceva come le sue tasche.”

“Ovviamente certi allievi li critichiamo e li sanzioniamo. Ad esempio, una sera di primavera di quest’anno, sette allievi scapparono dall’istituto ed entrarono in un cantiere. Là, fecero molti danni. Il loro agire ha infranto i regolamenti della scuola, e soprattutto ha attentato agli interessi del popolo. Abbiamo dovuto gestire la questione con severità. Quella notte, anche se gli allievi dormivano già, li riunimmo d’urgenza nel piazzale affinché i colpevoli facessero autocritica davanti a tutti i compagni e agli insegnanti.
Durante la riunione della direzione, questa criticò con forza gli allievi coinvolti. Questo li impressionò
profondamente, quando ora parlano di disciplina e di concezione collettivista, menzionano sempre questo episodio.
In poche parole, che noi lodiamo e ricompensiamo gli allievi, o che li critichiamo e sanzioniamo, lo scopo è sempre quello di educare.”


Amedeo Sartorio, 02.02.2016








martedì 19 gennaio 2016

I confederati erano davvero i cattivi? Cosa fu la Guerra di Secessione?


La storiografia dominante, quella insegnata nelle scuole occidentali, ci insegna che la Guerra di Secessione fu soprattutto uno scontro tra abolizionisti e schiavisti, una guerra di idee tra unionisti "bravi" e confederati "cattivi", che sfociò nella libertà degli afroamericani.

100 anni dopo la sua fine, Malcolm X e Martin Luther King venivano assassinati in un contesto statunitense di segregazione razziale non troppo differente da quello del Sudafrica, ed oggi, 150 anni dopo la fine del conflitto, la comunità afroamericana riempie le prigioni, vive nella miseria e la polizia assassina impunemente i suoi membri.
Siamo sicuri, dunque, che il nord durante a guerra civile fosse mosso da nobili sentimenti umani come la liberazione degli uomini di colore?
O è stata piuttosto una forzatura della grande borghesia del nord per portare la rivoluzione industriale ad un livello successivo, eliminando i retaggi feudali delle aristocrazie schiaviste produttrici di cotone, liberando così dalle catene un nuovo esercito di disperati, per incatenarlo nuovamente, ma questa volta nel sistema salariale?

Il sud era poco popolato e dominato dai grandi produttori di cotone che vivevano del lavoro gratuito dei loro schiavi, schiavi che dovevano però essere comprati e mantenuti in vita, ed esportavano la quasi totalità della produzione in Gran Bretagna.
Il nord, che contava parecchi grossi centri urbani molto popolati, stava invece sviluppando l'industria moderna e tutto ciò che ne consegue.
Non è dunque difficile capire che lo schiavismo era d'impiccio, perché, per il capitale, è più redditizio avere dei lavoratori salariati, che lavorano in condizioni poco diverse da quelle degli schiavi, ma invece che venire mantenuti, diventano dei consumatori costretti a pagarsi vitto e alloggio, andando così ad ingrassare diversi settori dell'economia, in primis edilizia ed alloggi.

Friederich Engles, nell'Anti-Dühring, quando parla di economia e violenza, spiega bene che: "La schiavitù negli Stati Uniti d'America era fondata molto meno sulla violenza che sull'industria cotoniera inglese; in quei distretti dove non cresceva il cotone o che non esercitavano, come negli Stati confinanti, l'allevamento di schiavi per Stati cotonieri, la schiavitu si estinse da se stessa senza uso di violenza, semplicemente perche non era remurativa."
Dunque, la bandiera dell'abolizionismo, non fu, come invece nella Rivoluzione Francese, una lotta di ideali, una scelta progressista, una creatura dell'illuminismo.
Lo schiavismo era semplicemente diventato scomodo per lo sviluppo della grande industria moderna e di una nuova società a capitalismo avanzato.
Napoleone Bonaparte restaurò lo schiavismo nell'Impero coloniale francese, poiché ancora redditizio, invece negli Stati dell'Unione, esso si estinse da solo seguendo il naturale sviluppo del capitalismo, che bisognoso di nuovi sbocchi, nuovi mercati, nuovi spazi, entrò in conflitto con gli Stati del sud, i confederati.
La secessione fu la risposta di chi voleva preservare lo stile di vita semi-feudale.
Scoppiò quindi la guerra, anch'essa redditizia per le industrie di armamenti del nord, oltre che laboratorio di prova per nuove armi e tattiche belliche. Il nord vinse, non è esagerato dire che colonizzò il sud imponendo le sue regole, e i neri, liberati, si trovarono a fare di nuovo gli schiavi, ma questa volta in cambio di qualche spicciolo, che raramente bastava al sostentamento.

Quindi, per evitare equivoci, la schiavitù andava abolita, senza dubbio, come era giusto che il sistema economico, sociale e politico evolvesse, ma mitizzare il nord e demonizzare il sud, non è il giusto approccio, perché, in realtà, le due parti erano poco diverse e nessuna era mossa da nobili intenti.

La Guerra di Secessione fu una guerra tra due diverse classi dominanti, quella dei grandi industriali e quella dei grandi proprietari terrieri, che mandarono al macello le classi popolari, ed entrambe furono mosse dal solo profitto.


Amedeo Sartorio, 19 gennaio 2016