giovedì 1 ottobre 2015

Intervista a Ymane Ghebremeschel, Portavoce Ufficiale del Presidente dell’Eritrea

Intervista di Stefano Pettini a Yemane Ghebremeschel Direttore dell’Ufficio Presidenziale e Portavoce Ufficiale del Presidente dell’Eritrea

In genere in merito agli accadimenti in corso nel tormentato Corno d'Africa vi è una certa tendenza a dare credito ad affermazioni, notizie e testimonianze non ufficiali, difficilmente verificabili e spesso diffuse ad arte allo scopo di generare confusione e assecondare fini occulti o comunque diversi dal perseguimento della tanto predicata pacificazione dell’area e dell'avvio del processo democratico.

Complice involontaria di questa tendenza è la incapacità culturale e ideologica di alcuni a difendersi scendendo nella arena mediatica per controbattere la disinformazione e sostenere le proprie ragioni. Si può affermare che gli eritrei in particolare, a causa della loro difficoltà a recidere i legami con gli antichi precetti sociali che considerano immorale anche solo dare peso con delle repliche a chi applica metodi di contrasto basati sulla diffamazione e la falsità, assumono un freddo atteggiamento di distacco facilmente strumentalizzabile.

I riflessi di questa tendenza sono resi evidenti dal fatto che le tematiche riguardanti l’Eritrea vengono trattate dai sistemi di informazione, ma spesso anche in ambiti  istituzionali, nelle maniere più disparate, inopportune e devianti dalla realtà oggettiva, a fronte di una virtuale assenza di repliche e contestazioni ufficiali. 

Nel corso dell’intervista con il Direttore dell’Ufficio Presidenziale e Portavoce Ufficiale del Presidente, sig. Yemane  Ghebremeschel, ho voluto quindi provare a invertire questa tendenza ponendo una serie specifica di quesiti allo scopo di chiarire attraverso dichiarazioni ufficiali di fonte governativa i contorni di alcuni luoghi comuni, riguardanti l'Eritrea, che con sospetta frequenza continuano ad alimentare polemiche e inimicizia nei confronti del Paese.

Questi i contenuti dell'intervista:

Intervista di Stefano Pettini a Yemane Ghebremeskel 

Direttore dell’Ufficio del Presidente dell’Eritrea

Asmara Aprile 2007



L'Eritrea e' accusata di ostacolare  rapporti con la stampa estera, vietando ai giornalisti  di svolgere il loro lavoro liberamente o rifiutandogli il visto d'ingresso nel paese. Quale e' la posizione ufficiale del governo?

L'accusa e' infondata. In primo luogo, non abbiamo una politica che vieta o rifiuta  visti d'ingresso ai giornalisti stranieri. C’è un certo numero di giornalisti stranieri che sono accreditati  e residenti nel paese sulla base di un visto concesso per motivi di lavoro: Agence France Presse  ha un giornalista residente; la  Reuters ha un ufficio;  Al-Sharq Al Awsat, il giornale per il Medio Oriente, ha un corrispondente; cosi pure la  Deustche Welle e via dicendo. In secondo luogo, le nostre Ambasciate concedono visti regolarmente, quando ci sono richieste da parte di cittadini stranieri che vogliono venire qui per viaggi brevi di lavoro, per fare interviste e realizzare  reportage ecc. Non ci sono limitazioni nel concedere i visti d'ingresso, ne per quanto si vuole vedere o ne per quello che si vuole fare nel paese. Perciò l'accusa e' in contrasto con la realtà. 

Bisogna comunque ricordare che nonostante l'ampia collaborazione data dal Governo alla stampa estera,  nel passato sono accaduti eventi deplorevoli dovuti a comportamenti scorretti di alcuni giornalisti. Per esempio quello del giornalista italiano Massimo Alberizzi, che scrive sul "Corriere della Sera" e del quale mi e' capitato, qualche volta, di leggere gli articoli;  mi e' estremamente difficile capire le motivazioni di tanto accanimento e delle sue grossolane e palesi distorsioni dei fatti come, per citare qualche esempio, nel caso della villa Melotti o della messinscena del suo "rapimento" a Mogadiscio dietro il quale ci sarebbe stata la longa manus degli eritrei. Era il periodo in cui gli Usa sostenevano, del tutto falsamente (come si e' visto in seguito) che in Somalia erano presenti oltre 2000 soldati eritrei. 

O quando, nel giugno o luglio 2000 dopo il suo ritorno da un viaggio in Eritrea, ebbe a dire in un dibattito pubblico a Roma, presente il Senatore Serri e altri funzionari del Ministero degli Esteri italiano: "nei luoghi delle battaglie che hanno avuto luogo nel mese di maggio, gli eritrei ci hanno mostrato quelli che sarebbero stati i cadaveri di numerosi soldati etiopici da loro uccisi. Chi sa che, però, gli stessi eritrei non abbiano messo divise etiopiche ai cadaveri dei loro stessi soldati uccisi dagli etiopici".

Un paio di anni fa, quello stesso personaggio venne qui come "funzionario dell'Onu", con tanto di tesserino esibito al personale portuale di Massawa, per indagare su un ipotetico flusso di armi dall'Eritrea alla Somalia. Spesso mi chiedo se quel personaggio e' un giornalista del "Corriere della Sera", un "funzionario dell'Onu" o qualcosa d'altro. Comunque sia, ciò che e' sconcertante e che i suoi "articoli" trovino spazio su una prestigiosa testata quale e' il "Corriere"  

Secondo Reporters Sans Frontier, l'Eritrea risulta in fondo a una classifica per quanto riguarda la libertà di stampa, che viene considera virtualmente assente nel paese. Come lo spiega?

Mi lasci innanzi tutto sottolineare che questa agenzia non e' una organizzazione neutrale e credibile. Infatti e' sostanzialmente finanziata da sospette istituzioni Usa che elargiscono denaro a determinate organizzazioni che sostengono certi obbiettivi politici dell'Amministrazione Usa. Non penso che noi abbiamo bisogno di un “certificato di buona salute” da organi di sospetta credibilità. La seconda questione e' la cosiddetta nostra classifica internazionale. Bisogna  essere realisti. Non credo che ci possa essere libertà di stampa senza limitazioni in tempi di guerra e conflitto dovunque esse si manifestino. 

Questo e' vero negli Usa e in Europa.  Nella Seconda Guerra del Golfo contro l'Iraq, per esempio, gli Americani hanno inventato il termine "embedded journalism". I giornalisti non seguivano la guerra senza nessun condizionamento. Erano messi in mezzo al convoglio militare per riferire quello che veniva loro raccontato dai militari. In precedenza, nella Prima Guerra del Golfo, gli Americani introdussero il "pool system” per censurare e regolamentare ciò che veniva riferito. Guardi alla situazione in Somalia di questi giorni. 

C'e' l’oscuramento virtuale delle notizie. Perchè? I bombardieri Americani hanno polverizzato villaggi in Somalia, però non ci sono immagini sugli  schermi televisivi. Ai giornalisti è stato impedito di recarsi sul luogo. Accusare o isolare l’Eritrea per aver preso misure legittime in situazioni di conflitto, per me e' soltanto ipocrisia e un modo di valutare i fatti con  pesi e misure differenti.   

Per quanto riguarda l'assenza della "Stampa Libera", abbiamo avuto esperienze limitate nel passato. La Norma sulla Stampa e' stata promulgata nel 1996. Il governo non ha intenzione di ostacolare  la crescita della Stampa Libera. Dopo tutto il monopolio, sia in economia che in politica, ha  risvolti negativi. In questo senso la  Libera Stampa e' fondamentale per una sana società. Pertanto in termini di principi generali e teorie astratte non ci discordanze. Il problema e' quali sono le regole del gioco?  Come incidono nella realtà?  Quali sono le applicazioni delle norme in tempi di guerra?

La Norma sulla Stampa del 1996, ha avuto le sue lacune che sono emerse nel 2000/2001, in concomitanza degli sviluppi di sovversione interna. La Norma prevedeva chiaramente che, finanziamenti esterni non erano permessi. Ciò nonostante, le disposizioni sulle responsabilità non erano strettamente osservate e applicate. La stragrande maggioranza dei "giornali privati" erano largamente finanziati da Paesi Occidentali per sostenere determinati obbiettivi in violazione della Norma stessa. Inoltre la Norma non aveva adeguate disposizioni riguardanti le petizioni contro la diffamazione. 

Non c'erano regole per il riconoscimento o codice etico professionale per garantire un minimo di qualità  di servizio standard. Come poi accade, la "stampa privata" era facilmente manipolata, infiltrata e pagata dai servizi stranieri per accomodare scopi secondari. E' in queste circostanze che il caso venne discusso dalla Assemblea Nazionale e la Norma venne sospesa per essere totalmente rivista.



L'Eritrea inoltre, e' accusata di essere repressiva nei confronti della libertà di culto ed e' stata responsabile di arresti di massa di fedeli che chiedono di pregare  liberamente. Quale e' la risposta del Governo?

Sono costernato quando parla di arresti di massa dei credenti. Che cosa e' un arresto di massa?  Quale e'  la "massa di gente" che di tanto in tanto si presume sia stata detenuta?  La realtà e' che alla gente non e' stato negato o vietato il diritto di pregare liberamente, perchè la nostra e' una società molto devota e di antiche religioni. Abbiamo fedi differenti in questo paese. Ci sono Musulmani e Cristiani. 

Abbiamo perfino una Sinagoga in questa città. Se guarda al panorama di Asmara, ha la  caratteristica di essere  punteggiato  da Moschee e Chiese adiacenti tra di loro. Come ho detto in precedenza, questa e' una società devota di forti tradizioni, fedi intrecciate e gente molto religiosa e sotto l'aspetto costituzionale, lo Stato e' laico. Perciò non ci sono problemi legali o pratiche a riguardo della libertà di fede. 

Però abbiamo avuto problemi con un manipolo di "nuove religioni", una frangia di gruppi che sono estranei alla società nel suo insieme. Dobbiamo essere molto chiari in questa distinzione. I Testimoni di Jehovah, per esempio, si rifiutarono di partecipare al referendum nazionale, per decidere l'indipendenza dell'Eritrea. Il loro ragionamento era: "non riconosciamo lo Stato o Governo temporale". Mantennero una posizione dicendo "non riconosciamo un Governo sulla terra perchè siamo responsabili soltanto davanti a Jehovah". Si opposero al servizio militare quando venne proclamato nel 1994. La reazione del Governo è stata moderata e consisteva nel rifiutare il rilascio oppure di rinnovo della licenza di lavoro ai loro membri. Perchè non si possono avere ambedue le cose: rifiutare di riconoscere il Governo e nello stesso tempo chiede un servizio legale dal Governo stesso.  

Negli ultimi sette/otto anni inoltre, sono emersi piccoli gruppi. La maggioranza di questi gruppi erano beneficiari di fondi esteri segreti o non dichiarati. La maggioranza di loro agirono contro le strutture fondamentali della nazione opponendosi al servizio nazionale o  infiltrandosi e seminando divisioni all'interno delle fedi tradizionali. In seguito a questo il Governo chiese la registrazione ufficiale di tutte le religioni e la dichiarazione fedele dell'origine dei loro finanziamenti.  Gli arresti episodici, che sono stati poi distorti ed esagerati, avvennero quando i membri di queste frange si riunirono illegalmente.  

L'Etiopia e' considerata il baluardo della cristianità contro l'espansione dell'Islam e punto di riferimento nella lotta contro il terrorismo nel Corno d'Africa. Quale e' la posizione del Governo Eritreo su queste due questioni?

In primo luogo, quando si fa il confronto tra l'Eritrea e l'Etiopia in termini di diversità di religioni e la dimensione delle differenti fedi, il quadro e' più o meno lo stesso. In Eritrea la popolazione  di fede musulmana e cristiana e'  più o meno equamente divisa. Anche in Etiopia  la percentuale e' analoga.  Anche in Sudan ci sono cristiani e musulmani. Pertanto, dipingere l'Etiopia come baluardo di cristianità o "isola di cristianità" e' praticamente sbagliato e improprio. Tuttavia, le rispettive percentuali sono sostanzialmente irrilevanti. Se lo Stato e' laico, in circostanze di diversità religiose, non ci sarà terreno per scontro religioso. Coesistenza e armonia tra le differenti fedi e religioni può essere coltivato e conservato. 

Nel caso dell'Eritrea, Cristiani e Musulmani hanno convissuto in armonia per ben 13 secoli. Nella nostra prolungata storia, non abbiamo mai avuto un conflitto sociale motivato da sentimenti religiosi. Abbiamo combattuto insieme contro nemici comuni. La religione e' stata e rimane  un fatto privato. Poi il modo in cui la questione viene impostata non e' appropriato perchè le differenti religioni posso convivere in una condizione ambientale laica. Per di più in termini puramente statistici, l'Etiopia non e' "un'isola di cristianità nel Corno d'Africa". Come ho descritto in precedenza, la composizione  delle due religioni  e' più o meno la stessa sia in Eritrea che in Etiopia. 

Sulla questione del terrorismo, disgraziatamente, c'e' una errata o forviante tendenza di confondere il terrorismo con l'Islam. Le comunità islamiche non sono ne intrinsecamente propense ne posseggono particolare attitudine per covare  il terrorismo o per compiere atti terroristici. In altre parole, il terrorismo non  può essere confuso con l'Islam. 

Perchè e' nato il terrorismo ? Come e' nato? Quale fu il ruolo di alcune potenze in  particolari congiunture storiche?  Se sta facendo riferimento agli Arabi Afgani, e' ben noto che gli Americani, gli appoggiarono fino ad certo punto nel contesto della Guerra Fredda. Le ragioni storiche, sociali e politiche che favorirono il terrorismo e' un argomento complesso. Non può essere ridotto ad una automatica divisione Cristiani/Musulmani.

Allo stesso modo, la pura propaganda che dipinge l'Etiopia come "il baluardo della Cristianità" e l'epicentro per la Guerra contro il terrorismo, e' un mito inventato dall'Etiopia o forse dagli Usa per assecondare altri secondi fini.

Il Governo Eritreo e' esplicitamente accusato di sostenere l'Unione delle  Corti  Islamiche (Uic) della Somalia in funzione anti-Etiopica, fornendo loro uomini ed armi. Come commenta questa affermazione?

La posizione dell'Eritrea e' molto chiara. Lo abbiamo dichiarato apertamente nelle varie sedi: nell'Igad, nella Assemblea Generale dell'Onu nel settembre 2006 e in altre sedi. Per noi il problema non e' una questione di preferenza tra l'Uic  e il Governo Federale di Transizione (Tfg). L'Eritrea ha legami storici che durano da oltre 50 anni. Questi legami coinvolgono tutto l'arco politico del paese. Tutti i somali sostenevano la lotta di liberazione Eritrea. Questo e' un aspetto, l'altro e' che quando dopo il 1991 la Somalia andava alla deriva,  ingarbugliata in conflitto interno, l'Eritrea era impegnata in varie iniziative per aiutare a frenare la pericolosa evoluzione in atto. Nel periodo tra il 1992 e il 1994,  stavamo lavorando con l'Etiopia. 

L'obiettivo primario era di promuovere la riconciliazione politica all'interno della Somalia. Ma l'Etiopia deviò verso la sua tradizionale politica di divisione e di indebolimento della Somalia su basi etniche. Questa divenne palese nella Conferenza di Sodorè svoltasi in Etiopia  nel 1997.  Da allora, la politica dell'Etiopia e' stata quello di dividere la Somalia in quattro/cinque mini Stati:  Somaliland, Punt Land, Benadir Land, ecc. Questa politica scaturisce dalla percezione di rischio dell'Etiopia stessa. Bisogna  ricordare che la Somalia e l'Etiopia si sono confrontati in guerra per due volte in questi ultimi quaranta anni (nel 1963 e nel 1977). L'Eritrea disapprova questa politica dell'Etiopia, perchè crea una permanente instabilità regionale. Se ci sono dispute territoriali (per esempio Ogaden) le soluzioni  devono avvenire sulla base della inviolabilità dei confini coloniali.  

L' Eritrea si e' fortemente opposta alla recente invasione della Somalia da parte dell'Etiopia. E' illegale sotto ogni aspetto. Il Primo Ministro etiopico ha dato tre dichiarazioni contraddittorie nello spazio di tre giorni quando lanciò l'invasione. La prima dichiarazione era che l'Etiopia si stava difendendo dal rischio derivante dall'Unione delle Corti Islamiche (Uic). Però come lei ben saprà, la Carta dell'Un non permette una invasione preventiva. Poi, il giorno dopo, forse resosi conto delle debolezze delle sue argomentazioni,  disse che stava spedendo le truppe su invito del Tfg. Queste due dichiarazioni sono contraddittorie. Il Tfg era originariamente nato per agire come catalizzatore nel restaurare la riconciliazione nazionale. 

Il Tfg può aver il potere legittimo per invitare potenze straniere per schiacciare l'opposizione interna? La terza dichiarazione che il Premier etiopico diede quando le sue truppe si avvicinavano Mogadiscio era che lo scopo dell'invasione era "indebolire sufficientemente" l’Uic in modo tale da costringerlo a sedersi al tavolo del negoziato. Questa e' una palese e illegittima interferenza in termini di norme internazionali. L'invasione etiopica non può essere giustificato da nessun sforzo di immaginazione. Se il Consiglio di Sicurezza non ha condannato l'Etiopia e' semplicemente perchè esiste la protezione degli Usa. 

Le svariate accuse contro Eritrea derivano dal desiderio di bilanciare l'invasione etiopica e di inventare un pretesto plausibile. La ostinata propaganda da parte del Dipartimento di Stato degli Usa ruota intorno alla rappresentazione della situazione come guerra per procura tra l'Eritrea e l'Etiopia. Prima dell'invasione  persistenti affermazioni venivano dal Dipartimento di Stato  che asseriva che 2000 soldati eritrei erano presenti in Somalia. Queste affermazioni svanirono nel nulla dopo l'invasione, perchè si accorsero che erano false fin dalla partenza. I’Uic era demonizzato e descritto come il Taliban del Corno d'Africa. Tutte queste affermazioni propagandistiche sono di fatto false invenzioni appositamente create per giustificare l'invasione della Somalia.

Come spiega il deterioramento delle relazioni diplomatiche che pian piano ha portato a un atteggiamento di chiusura e isolamento del Paese?

L'Eritrea non e' isolata, abbiamo relazioni diplomatiche praticamente con tutti i paesi. Abbiamo più di venti ambasciate straniere con residenza nel paese. Potremmo avere problemi con alcuni paesi, ma e' qualcosa che ha a che fare con la loro linea politica. Ovviamente, se alcuni governi ci chiedono compromessi sulla nostra sovranità e integrità territoriale, questo non e' il prezzo che dobbiamo pagare per mantenere relazioni diplomatiche. Esiste una linea rossa che non siamo disposti ad oltrepassare. Per il resto, abbiamo buoni rapporti con molti paesi europei anche se abbiamo avuto qualche problema con l'Italia per alcuni motivi. Abbiamo buone relazioni con molti nostri vicini, altri paesi Africani, Asiatici e paesi dell'America Latina. Pertanto, in linea generale, le nostre relazioni diplomatiche godono di buona salute.

Attualmente il nostro problema principale e' con gli Stati Uniti d'America. Questo e' dovuto alla politica degli Usa che in questa regione non e' equilibrata. Gli Americani sono i responsabili principali per il problema del confine con l'Etiopia. Il verdetto della Commissione Confini sarebbe gia attuato se non fosse stato ostacolato da Washington. Le iniziative degli Inviati Speciali (Axworthy, Fulford ecc.) sono invenzioni di Washington. Recentemente  stavano parlando di Gruppo di Contatto. La strategia e' di creare complicazioni ed ostacolare la pace in questa regione. Questo non può essere accettato 

Il Presidente Isaias e' stato accusato da alcuni osservatori, di aver imposto una svolta autoritaria a cominciare dall'arresto di ufficiali di rango, membri del governo che tuttora sono in detenzione senza specifiche accuse. Quali sono le motivazioni che stanno dietro questo atteggiamento?

Questo e' una sporca campagna propagata da alcune forze che non hanno a cuore il benessere dell'Eritrea. L'arresto di queste personalità  e' indiscutibile. A prescindere dalla posizione nel governo, se una persona commette un reato contro la sicurezza nazionale, non può essere immune dalla detenzione. E in questo caso, le detenzioni hanno una  storia a parte. Le persone in questione hanno commesso un atto di tradimento. Il collegamento che hanno tentato di creare con l’Etiopia nel momento culminante dell'invasione e' noto perfino ai mediatori. Questi sono fatti noti anche alla gente comune.  Qualsiasi governo che si fosse trovato in situazioni simili non avrebbe reagito altrimenti. La sostanza del loro crimine e' indiscutibile.  Non può essere camuffata da modalità procedurali.  




Perchè il Governo Eritreo sta mostrando una crescente ostilità verso l'Italia?  Prima, e' stato espulso l'Ambasciatore Antonio Bandini. Alcuni anni dopo sono stati espulsi i Carabinieri. Il Primo Segretario dell'Ambasciata, Ludovico Serra, e' stato inoltre espulso lo scorso anno a seguito dell'episodio della demolizione della villa Melotti a Massawa. Come spiega la sequenza di questi fatti?   

Il Governo dell' Eritrea non nutre affatto ostilità verso l'Italia. Le relazioni tra i due paesi risalgono nel tempo a oltre cento anni fa. Abbiamo profonde affinità culturali, interessi economici e flusso umano fin dal periodo coloniale. E' interesse dell'Eritrea stimolare e consolidare il legame storico. Pertanto, il termine "crescente ostilità verso Italia" non e' corretto. Ma questo non significa che, qualche volta, non abbiamo avuto problemi. Questi potrebbero non essere perfino problemi tra i due paesi o due governi. Potrebbero essere dovuti a comportamenti individuali di alcune persone.

Mi ha chiesto dell'Ambasciatore Bandini. E' un caso vecchio. L'Ambasciatore interferì più volte negli affari interni di sicurezza nazionale. Gli è stato chiesto di lasciare il paese. Questo e' normale ed e' previsto dall'articolo 9 della Convezione di Vienna sulle Relazioni Diplomatiche. Il caso dei  Carabinieri e' un caso a parte. Intanto il governo non ha mai chiesto l’espulsione, ma soltanto la interruzione della attività di polizia nella capitale che non era di loro competenza. I Carabinieri non erano qui come contingente italiano sulla base di accordi bilaterali con l'Eritrea. 

Erano qui come parte della United Nations Mission Etiopia Eritrea (Unmee), potevano essere Indiani, Cinesi, Tedeschi o di altri paesi. La loro nazionalità non ha a che vedere con il provvedimento. Il problema semmai era la natura del loro lavoro come polizia militare della Unmee. Quando ci fu il dispiegamento dell' Unmee  firmammo un Protocollo di Regole d'Ingaggio (Protocol of Rules of Engagement). In quel Protocollo non era  prevista attività di polizia nella Capitale. La attività di polizia nel paese non poteva essere delegata alla Unmee. Questa è competenza del Governo. 

Se alcuni ufficiali militari della Unmee potevano risultare assenti dalle loro postazioni della Zona di Sicurezza Provvisoria (Tsz), si sarebbe dovuto trovare un'altro meccanismo per controllarli. Altrimenti, non si poteva avere una Polizia del contingente in Asmara con un compito indefinito. Questo era al di fuori dell'accordo e questo è stato spiegato allora  alla Unmee. Nulla a che fare con l'Italia, in altre parole la decisione di rientrare è stata dei Carabinieri e solo loro, e al momento della loro partenza il Governo non ha avuto esitazioni a collaborare su richiesta della Ambasciata Italiana per trovare una soluzione a  imbarazzanti errori logistici creati dai Carabinieri stessi.  

Nel caso del Primo Segretario Ludovico Serra, mi permetta di ribadire un concetto fondamentale. La legge  prevede l'esproprio o la demolizione (secondo il caso) per scopi di sviluppo, di una casa di proprietà sia di un cittadino eritreo che di un cittadino straniero, con procedure appropriate e garanzie compensazione. La villa Melotti non può essere trattata eccezionalmente al di fuori delle previsioni di legge. Disgraziatamente, il Primo Segretario, andò al di fuori delle sue funzioni per bloccare personalmente il provvedimento municipale di demolizione. Questo e' un insulto e costituisce disprezzo delle leggi del paese. Da un ufficiale di rango assegnato alla Ambasciata Italiana ci attendiamo la cura delle relazioni tra i due paesi, non un aggravamento di queste senza ragioni.  Che cosa Le rivela il suo atteggiamento? 

Il fenomeno dell'immigrazione clandestine dei cittadini eritrei in Italia sta crescendo. Come vede il Governo Eritreo questa nuova tendenza?

Il problema e' un po' montato. Ma anche se fosse vero credo che il fenomeno sia strettamente transitorio e indotto dalla situazione di "ne guerra ne pace" in cui versa il paese. E' ovvio, non tutti sopportano la pressione e la tensione di una guerra incombente. Non e' per la prima volta che accade nella nostra storia. Durante gli anni di lotta di liberazione, migliaia di giovani si unirono alla lotta e un numero esiguo seguì la via dell'esilio. 

Il fenomeno attuale e' clandestino, perchè vige l'obbligo di servizio nazionale  e quelli che sono idonei e disertano sono punibili per legge. Però questi sono problemi transitori. Quando avremo la pace, mi aspetto una inversione di tendenza della situazione, come accadde nel 1991 dopo la liberazione. Infatti, negli anni immediatamente successive alla liberazione, più di 100.000 rifugiati ritornarono dal Sudan spontaneamente e attraverso rimpatrio organizzato. Migliaia di nostri cittadini ritornarono da tutto il mondo e investirono nel loro paese. 

Perfino in questi difficili momenti la tendenza nel suo insieme non e' caratterizzata dal flusso verso l'unica direzione della emigrazione. Se vede dai dati statistici locali, circa 70.000-80.000 eritrei sono tornati nel loro paese per brevi soggiorni. Per la verità la crescente migrazione che Lei ha citato, non e' superiore a poche centinaia in un anno e non e' paragonabile al flusso annuale inverso (rimpatrio transitorio o definitivo) dei nostri cittadini dalla Diaspora. 

Recentemente è tornato alla attenzione pubblica il problema di alcuni cittadini eritrei in detenzione in Libia e Malta che rischiano di essere rimpatriati nel loro paese di origine con la conseguente e possibile ritorsione da parte del Governo. Quale e' la posizione del Governo su questo problema?

Voglio ribadire ancora una volta che non dobbiamo esasperare il problema al di fuori delle sue proporzioni. Probabilmente stiamo parlando di pochi individui. Lasciando da parte i numeri, il problema e' essenzialmente un caso legale.  Se una persona sfugge all'obbligo del servizio nazionale e lascia il paese illegalmente, risponderà per il reato che ha commesso: evasione del servizio nazionale ed emigrazione illegale. Ci sono norme e regole che in caso di violazione  il Governo e' chiamato a far rispettare. 

Questo e' normale e non ci sono discussioni.  Le distorsioni emergono quando i cosiddetti gruppi difensori, come Amnesty International, vogliono forzare la mano al Governo e imporre condizioni al di fuori delle norme in vigore, per quelli che loro chiamano  "refouled asylum seekers". In primo luogo questi individui non sono asilo richiedenti in buona fede. Non hanno nessun motivo credibile di persecuzione. Non possono essere trattati in maniera diversa e beneficiare l'esenzione dall'obbligo del servizio nazionale. Questo sarebbe una discriminazione contrario al principio di equità ed eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge.

L’Eritrea e' anche considerata uno dei paesi più poveri del mondo e varie Ong  lamentano di affrontare difficoltà crescenti  per lavorare nel paese e accusano il Governo di aver espulso alcune di esse, perchè sono viste come testimoni scomode. Come vede il Governo Eritreo la cooperazione umanitaria e internazionale?

In primo luogo, l'etichetta "uno dei paesi più poveri " richiede una precisazione adeguata. L'Eritrea e' una nazione giovane che e' venuta fuori da trenta anni di guerra di liberazione nazionale. Dopo sette anni di sollievo il paese, e' stato di nuovo obbligato ad affrontare un attacco dell'Etiopia. Pertanto, se il Pil e altri indicatori economici sono bassi, non c'e' di che meravigliarsi. Vorrei piuttosto focalizzare la attenzione sulla laboriosità del popolo eritreo, sulla politica economica prudente del Governo e sulle enormi risorse del paese  per valutare le reali potenzialità in un ambiente favorevole di pace. 

Ci sono vari settori, compresi il turismo, l'agricoltura, quello minerario e quello della pesca che hanno grandi potenzialità. Prima dell'invasione etiopica del 1998, il paese cresceva a un tasso di 7-9% annuo. Quando la pace permanente sarà garantita, il paese crescerà con un ritmo rapido per assicurare costantemente un buon tenore di vita ai propri cittadini. Perciò, non condivido questa descrizione cupa dell'Eritrea sia in termini delle sue potenzialità che del suo futuro. L'Eritrea non e' davvero una nazione intrinsecamente o strutturalmente povera destinata a vivere elemosinando da Ong o da organizzazioni di beneficenza per un periodo indefinito.

In secondo luogo, sulla questione delle Ong,  ci sono alcune distorsioni. Il Governo ha gia chiarito, più di una volta,  la sua posizione in maniera esauriente. Le Ong hanno sostenuto energicamente la lotta di liberazione e hanno avuto una funzione utile nei momenti critici. In questo momento, circa dodici Ong stanno lavorando. Per quanto riguarda l'assistenza umanitaria e la cooperazione allo sviluppo, noi riconosciamo la anormalità della nostra situazione e non abbiamo  inibizioni  nel chiedere assistenza. Allo stesso tempo però non vogliamo che l'assistenza crei situazioni di dipendenza cronica. Riguardo alle Ong ci sono regole chiare relative ai costi d'amministrazione, modalità di attuazione e priorità di programmi.

Non vogliamo vedere il proliferare di Ong impegnate in programmi piccoli, disconnessi e non sostenibili che  creano dispersione di risorse.  Ci sono regole aggiuntive relative al lavoro di consulenza e allo sviluppo delle capacità locali; nel senso che la priorità e' sempre data alla sviluppo delle capacità locali. Le divergenze nell'affrontare tutte queste questioni, sono le ragioni per le quali la cooperazione allo sviluppo ha incontrato problemi  e perché alcune  Ong non sono riuscite a qualificarsi per la registrazione. 

Nel caso delle Ong in particolare ci sono livelli minimi di budget annuale (due milioni di dollari americani)  che devono essere in grado di procurarsi per essere operative.  La logica è che è alla base del livello minimo di budget e' quella di assicurare l'attuazione di programmi significativi ed evitare progetti piccoli e non regolari che non hanno sostenibilità e che potrebbero creare dipendenze.

Quale e' l'atteggiamento del Governo verso le Ong italiane in particolare?

Alcune sono operative.  Altre che non avevano i requisiti  richiesti non hanno potuto registrarsi. In ogni modo, le Ong italiane non sono viste con occhio discriminatorio rispetto alle altre Ong. Al contrario il desiderio e' quello di permettere loro di operare se e quando vicine alla soglia del budget annuale.   

In molte occasioni il Governo Eritreo ha dichiarato che la povertà in Eritrea deriva da responsabilità politiche esterne. Su quali fatti fondamentali si basa  di questa affermazione?   

Senza la dichiarazione di guerra da parte dell'Etiopia nel 1998 e quello che e' successe dopo, la crescita economica oggi sarebbe del tutto differente dalla situazione attuale. I motivi per i quali l'Etiopia e' stata incoraggiata e lasciata libera di rifiutare il verdetto dell’Arbitrato e mantenere una situazione di tensione, si trovano negli interessi e considerazioni esterne e geopolitiche. I fattori negativi che stanno frenando o ostacolando il rapido sviluppo e la crescita economica, dipendono dalla ostilità degli attori regionali e internazionali. Sono questi i problemi principali. Altrimenti, in un contesto regionale pacifico e stabile, le potenzialità dell'Eritrea sarebbero veramente  enormi. Abbiamo settori che presentano vantaggi comparati che possono essere sfruttati e che possono dare un contributo per una economia dinamica e vibrante.    

Come pensa il Governo possa raggiungere l'obiettivo della sicurezza alimentare, nonostante le carenze economiche e  di manodopera nel paese?

Non sono d'accordo con le Sue affermazioni. Se per carenza di manodopera sta alludendo al servizio militare nazionale, questo non e' vero. La verità e' che molti di loro sono impegnati in attività economiche produttive durante il periodo di relativa pace. Perciò la manodopera non e' un ostacolo. In termini di produzione per la sicurezza alimentare, l'investimento richiesto per un periodo di tre anni, non e' grande. Si tratta di gestione idrica, canali di contenimento,  costruzione di piccole dighe e raccolta delle coltivazioni. Non stiamo parlando di investimenti di miliardi di dollari. Perciò e' fattibile. Non si tratta di teorie astratte o di programmi ambiziosi e vaghi. Forse, l'anno passato le piogge erano eccezionalmente buone, comunque la combinazione delle buone piogge e gli intensi programmi per la sicurezza alimentare hanno veramente assicurato un buon raccolto.

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